Rimarcando apparentemente l’aspetto malinconico suscitato dell’evidente distanza temporale le opere prendono a soggetto le foto-ritratto di famiglia dei primi anni del Novecento. L’ immaginario che, per tradizione, non è mira di interessi artistici, gioca qui su altri riferimenti, diventando, oltre che una vetrina temporale, una vetrina di spazi.
Tempi e spazi inevitabilmente legati al reale ed alla memoria, ma trasposti in dove e quando del tutto nuovi. Ed ecco svelati altri momenti, altri luoghi in una teatralità che porta alla sublimazione del comune. Il tempo si ferma, si contrae e si dilata all’infinito. Le immagini si propongono come recuperate dalla memoria, a volte enormi e incombenti, altre lontane ed evanescenti. Spostate, frammentate, avvicinate. L’ipotetica distanza temporale è ridotta dalla sensazione di vicinanza che si ha col soggetto.
Siamo trasportati in quel dato momento, in quello spazio, proprio lì. Ed è uno sguardo tutto nuovo che scandaglia piani lontani e prospettive insolite. L’occhio indaga nella sua naturale posizione realtà lontane alla vista, penetra in luoghi sconosciuti e bui e muove l’attenzione verso direttive scomode e innaturali.
“La realtà si forma soltanto nella memoria. (M.Proust)”
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